CASI CLINICI CIO' CHE NON TI ASPETTI

Non solo una questione di respiro

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UN CASO DI …”BRONCHIOinaLITE”

William ha tre settimane di vita,  è nato a termine da parto spontaneo, peso neonatale 3,5 kg, Apgar 9/10 e dopo 3 giorni di nido è tornato a casina sua in benessere. Ora si alimenta al biberon con latte adattato esclusivo senza particolari problemi. Cresce. 

Da qualche giorno il piccolo presenta tosse e rinite, in apiressia. I genitori sono preoccupati, bypassano la curante e lo portano direttamente in PS dove gli viene assegnato un codice rosso. In triage la mamma racconta che non mangia più come d’abitudine ma “si affatica” e “non termina il pasto”

All’esame obiettivo William pesa 4.1 kg; è in condizioni generali appena discrete, tachipnoico (FR 60 atti/min ) e impegnato, ha rientramenti diaframmatici e al giugulo, è subcianotico. Satura 80 % in aria ambiente ma risponde bene all’O2 in maschera arrivando a saturare 92%. All’auscultazione sono presenti fini rantoli crepitanti bilaterali. Facciamo un’eco torace bedside, nulla di che, solo qualche artefatto verticale; sliding presente, nessun versamento o consolidamenti. Abbiamo la fortuna di poter fare anche gli esami capillari al letto del paziente: l’EGA evidenzia acidosi respiratoria (ph 7.3, PCO2 68) mentre all’emocromo abbiamo una discreta leucocitosi con linfocitosi relativa (WBC 27000/mmc, L 19000/mmc, PCR 13,4 mg/L).
Siamo a fine inverno, la percezione è che il COVID, stile PACMAN, si sia mangiato l’RSV e gli altri virus responsabili di bronchiolite.

Per uno specializzando di pediatria di PS che nell’ultimo anno ha sentito parlare più di COVID che di otiti, William è “finalmente” la traduzione clinica di una bronchiolite, da Rhinovirus, come dimostrerà il tampone nasale per virus respiratori che eseguirà in seguito, una volta arrivato in reparto.

Ricoveriamo il piccolo. Seguiamo il pdta della bronchiolite.

William inizia il supporto ventilatorio con gli alti flussi a livelli submassimali, tuttosommato con una buona risposta clinica; sospende temporneamente l’alimentazione enterale, sapendo che il glucosio dell’ idratazione bilanciata pediatrica endovena dovrà bastargli per qualche giorno!  William pare non essere d’accordo, è un lattante “seriale” e come tutti i bambini della sua età, richiede il pasto a gran voce. A 48 ore dall’accesso, confortati dal quadro respiratorio in discreto miglioramento possiamo pensare di accontentarlo, tentando di svezzarlo dagli alti flussi e  aumentarndo gradualmente l’introito per os. E così facciamo.

Purtroppo le cose non vanno come ci si augurava: riduciamo il flusso e iniziamo a rialimentarlo ma  la dinamica respiratoria torna a peggiorare. Alcuni episodi di desaturazione notturna al termine dei pasti hanno richiesto persino un ulteriore incremento dei flussi di ossigeno, fino al massimo possibile.

Vabbè, “l’andamento bifasico della bronchiolite è frequente”- pensiamo. “Forse più tipico nelle forme da RSV” – vero. Quello che sicuramente non torna, è che dopo 12 giorni siamo ancora lì: alti flussi in altalena, rantoli crepitanti a pioggia, una lieve ipofonesi apicale destra, desaturazioni frequenti notturne e una clinica che stenta a migliorare.  Ripetiamo l’eco polmonare: consolidamento apicale destro di verosimile natura distelettasica.

Che cosa sta succedendo a William? Cosa sta complicando il suo decorso clinico?

Effettivamente qualcosa non torna… Proviamo a cambiare il punto di vista: stiamo facendo troppo, troppo poco o stiamo facendo qualcosa di sbagliato?

William ha qualche problema malformativo? Improbabile, sembra un problema acuto, ciclico in particolare legato ad alcuni momenti della giornata… i pasti. 

E se fosse allora un problema di inalazione?

Decidiamo allora di osservare un pasto.

William, come dicevamo, si alimenta al biberon. Ci accorgiamo che non riesce a portare a termine tutto il pasto, ma si affatica quando raggiunge i 30 mL di latte. Il monitor cardiorespiratorio ci segnala che durante gli atti deglutitori la sua frequenza cardiaca aumenta significativamente e spesso desatura presentando accessi di tosse. La sua dinamica respiratoria peggiora significativamente con aumento dei rientramenti e della frequenza respiratoria, presenta un importante incremento delle secrezioni e pianto gorgogliante con il proseguire del pasto…probabilmente inala.

Ma aspettate un attimo, William ha sempre mangiato… non era disfagico giusto?

Vero. Però, la capacità di gestire il pasto in condizioni di distress respiratorio non è scontata. Analogamente a quando si prova a tirare le punizioni imitando il proprio idolo calcistico ma i palloni finiscono inesorabilmente in curva, quando si è lattanti voraci ma tachipnoici, magari un po’ scoordinati nell’alternare il respiro e la deglutizione (atto che peraltro i neonati hanno imparato ad affinare da non troppo tempo), il bolo può finire anch’esso “in curva”. E’ una questione di equilibrio, di coordinazione e di riserva funzionale.

La deglutizione è in realtà un processo relativamente precoce in epoca fetale e a 32-34 settimane di gestazione è solitamente ottimizzato. Il neonato è in grado di compiere un’attività di suckling caratterizzata dai movimenti antero posteriori della lingua che sono funzionali all’allattamento al seno o alla tettarella con una buona ritmicità, ricordandosi di alternare il respiro al termine degli atti deglutitori e compiendo circa un atto deglutitorio per ogni suzione. Il tutto è finemente coordinato, forse cosi “finemente” che un minimo intoppo nel meccanismo rischia di alterarne il processo e la sequenza.

Per William, la bronchiolite è l’intoppo. Perché? Perché altera il pattern respiratorio e soprattutto cambia la prospettiva:  non è più la deglutizione a dominare sul respiro ma il respiro a dettare legge sulla deglutizione.

E il decorso clinico diventa più complesso, perché le inalazioni possono dare origine a polmonite ab ingestis complicando l’outcome e la gestione terapeutica.

Cosa ci può aiutare a capire che siamo di fronte ad un bambino con turbe della deglutizione?

Sicuramente l’osservazione e del pasto.

L’osservazione del pasto è un atto medico, e a mio parere, ha la stessa dignità dell’esame obiettivo.

Oskar Shindler, uno dei padri della logopedia, ci ha insegnato che ci sono numerosi segnali di allarme che possono indurre a sospettare alterazioni del pattern della deglutizione durante l’osservazione del pasto (alcuni di essi sono illustrati in tabella).

E allora come affrontiamo questa situazione?

Sicuramente dobbiamo concedere il tempo a William di “concentrarsi solo sul respiro” e recuperare quella riserva funzionale ottimale per riprendere successivamente anche i suoi pasti. E allora optiamo per il sondino naso gastrico. Soluzione semplice e ottimale per reimpostare un adeguato apporto calorico, non sovraccaricare il sistema e ripristinare una funzione respiratoria ottimale.

Due note di disfagia in età evolutiva….

La disfagia è l’alterazione dell’abilità di convogliare sostanze solide, liquide o gassose dalla bocca allo stomaco. Tale alterazione può comportare fenomeni di penetrazione laringea, con ingresso degli alimenti a livello del vestibolo glottico senza ulteriore progressione nelle vie aeree o aspirazione tracheobronchiale qualora si verifichi superamento del vestibolo laringeo e ulteriore progressione nelle vie aeree.

Secondo la “scuola torinese”, le fasi della deglutizione sono 7:

  1. FASE ANTICIPATORIA: Modificazioni che coinvolgono il cavo orale e faringeo prima che il cibo oltrepassi lo sfintere labiale
  2. FASE DI PREPARAZIONE EXTRAORALE: Modificazioni di consistenza, viscosità, temperatura e dimensione del cibo da introdurre per os
  3. FASE DI PREPARAZIONE ORALE: Modificazioni del cibo fino a trasformarlo in bolo pronto a essere deglutito
  4. FASE ORALE: La lingua da inizio al movimento posteriore del bolo e ha fine con inizio del riflesso deglutitorio
  5. FASE FARINGEA: Il cibo oltrepassa lo sfintere glosso palatale fino a superamento dello sfintere esofageo superiore
  6. FASE ESOFAGEA: dallo sfintere esofageo superiore allo sfintere esofageo inferiore
  7. FASE GASTRICA: Fino a quando il cibo permane nella tasca gastrica e non entra in duodeno

Un’ alterazione di una qualsiasi di queste fasi (spesso anche più di una contemporaneamente) può compromettere la deglutizione e condurre a fenomeni di inalazione e conseguentemente polmonite ab ingestis. Le condizioni che più frequentemente si associano a disturbi della deglutizione sono illustrate in tabella. Alcune di esse sono condizioni evolutive e necessitano di percorsi riabilitativi più articolati finalizzati alla rieducazione funzionale o modificazioni dietetiche personalizzate atte a consentire, qualora ve ne sia la possibilità, il ripristino di una alimentazione per os in sicurezza.

Ma ritorniamo al caso di William

Dopo 3 giorni di SNG riusciamo a svezzarlo dagli alti flussi, con netto miglioramento del quadro respiratorio. Riproponiamo l’alimentazione al biberon a dosi incrementali con ottima tolleranza: non sono più evidenti segni di disfagia…Ripristino al backup di fabbrica

Cosa ci insegna questo caso?

Che il rispetto dei “tempi” è terapia. Che la disfagia non è sempre sinonimo di condizione cronica ma può essere “disfagia transitoria acuta”, come riflesso dello sbilanciamento di due funzioni, la deglutizione e la respirazione, normalmente finemente intersecati;

Ci sorprende?

Forse no. Nel neonato/lattante nessun compartimento è stagno, nessun binario à parallelo…

BIBLIOGRAFIA

Deglutologia – Schindler Oskar, Ruoppolo G., Omega, 9788872415474 | Libreria Universitaria. https://www.libreriauniversitaria.it/deglutologia-schindler-oskar-omega/libro/9788872415474. Accessed December 11, 2020.

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Torres-Silva CA. Chronic Pulmonary Aspiration in Children: Diagnosis and Management. Curr Probl Pediatr Adolesc Health Care. 2018;48(3):74-81. doi:10.1016/j.cppeds.2018.01.004

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